
Per far fronte a particolari patologie o in condizioni di urgenza, può essere necessario ricorrere a trasfusioni di sangue. Questa pratica medica, seppur applicata da tempo, non è esente da rischi, specialmente quando non vengono effettuati i dovuti controlli. Nonostante vi siano rigidi protocolli in materia, infatti, ancora oggi possono verificarsi dei danni da trasfusione di sangue infetto o non compatibile che creano problemi alla salute del paziente.
I danni da trasfusione di sangue possono essere diversi e manifestarsi in vari modi.
Nel caso in cui il paziente riporti danni biologici a causa di una trasfusione di sangue infetto ha il diritto di ricevere sia un risarcimento danni da trasfusione che un indennizzo, poiché il Ministero della Salute e la ASL hanno il dovere di vigilare su tutto il processo di donazione, distribuzione e somministrazione delle sacche di sangue.
Come abbiamo appena accennato, i danni da trasfusione possono essere diversi. In generale, le cause più comuni sono:
I danni riportati si rivelano con diversi sintomi:
Negli anni ’70 in Italia si è dovuto affrontare il problema delle trasfusioni di sangue infetto, nonostante vi fosse una circolare del Ministero della Salute, la n.50 del 1966 che vietava l’utilizzo di sangue a rischio.
Successive circolari sono state finalizzate all’aumento dei controlli sulle sacche di sangue, ma è solo con la Legge 210/1992 che viene sancito il diritto dei soggetti danneggiati da trasfusioni di sangue, somministrazione di emoderivati e vaccinazioni obbligatorie a ricevere un indennizzo per i danni irreversibili riportati. Per danni irreversibili si intende non la semplice presenza del virus, ma di una epatopatia attiva.
L’indennizzo per i danni da trasfusione di sangue infetto viene erogato con un assegno bimestrale di entità variabile in base alla gravità dello stato di infermità. Se per via della malattia trasmessa si arriva al decesso del paziente, l’indennizzo può essere corrisposto agli eredi per 15 anni.
La Legge 210/1992 è stata aggiornata con la Legge 238/1997 che ha stabilito i criteri per definire l’indennizzo e nuove tempistiche di corresponsione. Successive sentenze della Corte di Cassazione hanno poi affrontato il tema della rivalutazione dell’importo in base al tasso di inflazione programmato.
Nelle sentenze 576, 577 e 581 del 2008, la Corte di Cassazione ha chiarito quali sono i termini di prescrizione per i danni da trasfusione di sangue. Poiché la sintomatologia può manifestarsi anche a distanza di molti anni dalla trasfusione, vi sono 3 anni di tempo per far valere i propri diritti che iniziano a decorrere dal momento in cui si viene a conoscenza della malattia, quando questa diviene percepibile e riconoscibile.
Le vittime di danni da trasfusioni possono richiedere oltreché un indennizzo anche un risarcimento, in quanto la somministrazione di sangue infetto avviene a causa di un errore medico.
La domanda di risarcimento deve essere presentata entro 10 anni alla struttura sanitaria che risponde a titolo di responsabilità contrattuale (artt. 1218 e 1228 c.c.) decorrenti dal momento in cui si viene a conoscenza della malattia.
Come abbiamo visto, le conseguenze legate alla trasfusione di sangue possono essere diverse e generare, in molti casi, il diritto ad ottenere un indennizzo o un risarcimento. Per farlo, però, è necessario dimostrarne il nesso causale, rivolgendosi ad un medico legale e ad un avvocato.
Se anche tu hai subito un danno a causa di una trasfusione di sangue infetto e non sai come far valere i tuoi diritti, noi di Periplo Familiare possiamo aiutarti. Siamo la più grande associazione per vittime di malasanità in Italia, da oltre 25 anni siamo al fianco dei pazienti che hanno subito le conseguenze di errori medici, supportandoli sia legalmente che moralmente.
Il nostro staff di medici legali e avvocati è pronto a valutare il tuo caso, contattaci per fissare una consulenza gratuita.
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