Assistenza domiciliare: solo il 2,9 dei pazienti può beneficiarne

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In pochi, solo il 2,9% degli over 65 in condizioni di fragilità, usufruiscono dell’assistenza domiciliare, a fronte di una domanda molto più nutrita. Scopriamone i motivi e qual è il piano d’intervento del PNRR. 

 

L’indagine 2022 di Italia Longeva sulla mappa delle fragilità in Italia ha calcolato che l’assistenza domiciliare integrata (ADI) per gli over 65 è erogata mediamente al 2,9% di pazienti a domicilio a fronte di 1 milione di persone colpite fragilità severa. E le cure residenziali (RSA) registrano una forte differenza regionale: rispetto a una media del 2,3% di over 65 istituzionalizzati, si va dal 7,64% di Trento allo 0,23% della Campania. Ma come mai?

Lo sviluppo di servizi di assistenza domiciliare a favore dei pazienti anziani e non autosufficienti dovrebbe rappresentare una priorità per il Servizio Sanitario Nazionale, ciò sia per far fronte al progressivo invecchiamento della popolazione e assicurare ai pazienti continuità di cura presso il proprio domicilio, migliorandone significativamente la qualità della vita, sia per alleggerire il carico degli ospedali – si pensi a quanto verrebbero limitati gli accessi degli anziani al Pronto Soccorso e i ricoveri impropri – e i costi a carico del SSN.

In Italia – da anni alla ricerca di una valida alternativa al modello basato sulla centralità dell’ospedale per la cura degli anziani, dimostratosi inadeguato ed economicamente insostenibile – l’ADI continua ad avere un ruolo marginale e ad essere fortemente sottodimensionata rispetto ai bisogni dei cittadini. A mancare sembra essere la messa a regime di un modello organizzativo omogeneo, in grado di sfruttare le opportunità offerte dalla digitalizzazione e dalle nuove tecnologie per rendere i servizi più efficienti e replicabili nelle diverse aree del Paese.

 

Il Piano

Con la “Missione Salute” del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) sono previsti investimenti per allargare questa percentuale di popolazione con più di 65 anni che potrà fruire di servizi di assistenza domiciliare e che oggi rimane ai margini. 

L’investimento è di 4 miliardi di euro e prevede di identificare un modello condiviso per l’erogazione delle cure domiciliari che sfrutti al meglio le possibilità offerte dalle nuove tecnologie (come la telemedicina, la domotica, la digitalizzazione). Il progetto è quello di realizzare presso ogni Azienda Sanitaria Locale (ASL) un sistema informativo in grado di rilevare dati clinici in tempo reale; di attivare 602 Centrali Operative Territoriali (COT), una in ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza. Di questi 4 miliardi, 2,72 miliardi dovrebbero essere investiti per permettere appunto di raggiungere il 10% degli over 65.

È evidente che grossa parte dei costi si tradurranno in personale che possa garantire questo salto di presa in carico. “Nell’ADI – spiega Maurizio Zega, consigliere nazionale FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche gli infermieri impegnano circa il quadruplo delle ore per paziente rispetto alle altre professioni, sono altrettanto rilevanti e presenti nelle reti di cure palliative, sempre a domicilio”. Ma gli infermieri necessari non ci sono. 

 

Carenza di infermieri, perché?

Una carenza numerica che è anche frutto di una crisi di iscrizioni ai corsi di laurea, tanto che per la prima volta negli ultimi venti anni si laureeranno meno di 10mila infermieri.

“È un problema di attrattività della professione – per Zena – perché l’infermieristica si è appiattita su modelli organizzativi assistenziali per i quali la laurea triennale ha omologato tutti allo stesso livello e la formazione specialistica ancora non è partita. Quindi oggi i giovani non scelgono questa laurea perché sanno che la nostra è una professione che non ha uno sviluppo di carriera, specie in ambito clinico, dove sono decisive le specializzazioni”.

Quello che deve cambiare, secondo Zega, è il modello attuale di assistenza, per creare una rete sanitaria territoriale dove tutte le professioni sono essenziali, così come la loro capacità di lavorare in team. Nel nuovo modello, l’infermiere non è di “aiuto” al medico, ma semmai in partnership con tutti i professionisti della salute. 

 

Conclusioni 

Il PNRR è l’occasione per modernizzare la rete dell’assistenza territoriale ma è indispensabile una cabina di regia che “governi” la fragilità. Non basta soltanto potenziare i servizi di ADI, è necessario collegarli con l’ospedale e con le nuove strutture previste dal Piano nazionale facendo sì che l’anziano venga preso in carico nel posto migliore a seconda del grado di complessità dei suoi bisogni. Staremo a vedere.

Categorie:Cure Mediche
Tags:accesso alle cure medichediritto alla saluteemergenza sanitaria

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