L’infermiere di famiglia e di comunità: chi è e cosa farà?

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Ecco l’infermiere di famiglia e di comunità. Compito? Prendere in carico pazienti fragili e con cronicità.

L’approdo in Italia della figura professionale dell’infermiere di famiglia e di comunità risale a diversi anni fa. Si è iniziato a parlare di infermiere di famiglia a livello nazionale nel dicembre del 2014 attraverso una proposta di legge. Di recente, con il Pnrr, è stato trasmesso alle Regioni dal Ministero della Salute il decreto che definisce come dovranno essere organizzate le cure sul territorio e con quanto personale dedicato. 

Ma chi è l’infermiere di famiglia e cosa farà?

Oggi gli anziani in Italia sono 13,8 milioni e, secondo una stima, entro il 2050 si arriverà ad una ventina di milioni, circa il 34% della popolazione.

Tra gli over 65 italiani, possiamo notare come una fetta da quasi 3 milioni di anziani sia non autosufficiente. Parliamo di soggetti che hanno bisogno di un supporto concreto nella vita quotidiana, per via di disabilità motorie (o mentali) più o meno gravi. Questo numero è destinato a crescere, andando a sfiorare i 5 milioni entro il 2030.

In questo scenario si colloca la figura sanitaria dell’infermiere di famiglia e di comunità, che entrerà nella vita di persone fragili e con cronicità. Non solo anziani però, ma anche giovani, con patologie quali diabete, scompenso cardiaco, epilessia, artrite reumatoide, bronchite cronica o disturbi cognitivi. Ma vediamo più nel dettaglio.

L’infermiere di famiglia e di comunità è una figura con competenze specialistiche nelle cure primarie e in sanità pubblica e si occuperà di aiutare il paziente a gestire una malattia o una disabilità cronica in stretta sinergia con il medico e con gli operatori della rete ospedaliera e territoriale. Soprattutto a domicilio, nell’ambiente familiare del paziente, dove dovrà monitorare i parametri vitali e le condizioni di salute, controllare che i farmaci siano presi agli orari giusti e in modo corretto, senza dimenticare l’importanza di seguire un’alimentazione equilibrata, aiutando il paziente ad alimentarsi, idratarsi e a fare attività fisica in modo corretto. 

Se necessario, poi, darà anche una mano a chi è solo o a chi da solo non ce la fa, attivando il servizio di consegna della spesa a domicilio o di pulizia della casa. Infatti, per quei pazienti che hanno un reale bisogno di aiuto nel compiere anche le più normali attività quotidiane, come appunto fare la spesa o tenere in ordine e pulita la casa, l’IdFC può attivare il Servizio di Assistenza domiciliare dei comuni (SAD), che raggruppa prestazioni socio-assistenziali a supporto di persone in situazioni di disagio o di parziale o totale non autosufficienza.

Durante i mesi più duri dell’emergenza Covid-19, per questi pazienti il ruolo dell’IdFC è stato fondamentale e ha evitato in molti casi di ricorrere in modo improprio al Pronto Soccorso o a nuovi ricoveri.

Come si attiva il servizio?

Il servizio viene attivato dal medico di medicina generale o dagli operatori dei reparti di degenza ospedaliera e degli ambulatori specialistici. Ma in casi particolari, possono essere segnalati anche dai Servizi Sociali.

L’IdFC può essere richiesto direttamente anche dal cittadino che ne abbia necessità, previa valutazione della presa in carico da parte dello stesso IdFC, e dopo avere ottenuto l’assenso del medico. Deve trattarsi di persona fragile e con problemi di cronicità. Tra questi pazienti nessuno è escluso, ad eccezione dei minori di 14 anni e dei pazienti oncologici già presi in carico a domicilio dall’equipe di cure palliative.

L’esempio di Monza

L’azienda socio-sanitaria di Monza, dopo l’attivazione della figura dell’Infermiere di Famiglia e di Comunità, ha già ottenuto, per prima in Italia, la Certificazione di Qualità dal CISQ (Federazione italiana di organismi di certificazione dei sistemi di gestione aziendale). 

Un riconoscimento alla validità di questo nuovo modello assistenziale di tipo infermieristico, che nella città brianzola continua a funzionare anche per visite, tamponi e vaccinazioni ai profughi ucraini arrivati in Brianza.

Oggi il servizio ha in carico 311 pazienti e conta un totale di 24 IdFC. “Questo nuovo modello assistenziale di tipo infermieristico – commenta Silvano Casazza, Direttore Generale ASST Monza – che ha avuto una grande importanza nelle fasi più difficili dell’emergenza sanitaria, quando era forte la necessità dell’assistenza a domicilio, soprattutto di persone fragili e con cronicità, prosegue ancora oggi in modo stabile. Si tratta inoltre di un modello organizzativo che ha reso ancora più evidente quanto siano importanti le cure primarie territoriali”.

Conclusioni 

Ci auguriamo che tutte le Regioni mettano a frutto le potenzialità di questa nuova figura fondamentale soprattutto nell’ottica di una medicina del territorio sempre più forte e pro attiva, che significa presa in carico più completa e a tutto tondo per l’utente, soprattutto a partire dal suo domicilio ma non solo.

Categorie:Cure Mediche
Tags:accesso alle cure medichemedici di famiglia

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