
L’aggettivo “urgente” non ha per tutti lo stesso significato.
È il 3 settembre del 2004, e Salvatore si sta preparando per un pranzo in famiglia ma non si sente bene. Non vuole perdersi una giornata insieme ai suoi affetti ma qualcosa proprio non va. Sta finendo di vestirsi quando di colpo la vista si annebbia. Salvatore accusa un forte malessere e chiede alla moglie e ai suoi figli di portarlo in ospedale.
Nessuno perde tempo e subito tutti si recano con grande preoccupazione presso un grande ospedale romano. Durante il controllo al pronto soccorso, Salvatore perde conoscenza e viene trasferito in stato comatoso in un altro grande ospedale. L’indicazione dei medici è quella di un intervento d’urgenza. Non si può aspettare, Salvatore deve essere operato immediatamente.
Il personale medico del nuovo ospedale, ricevuta l’allerta, comunica ai familiari di aver trasportato Salvatore in sala operatoria. Finalmente si può tirare un sospiro di sollievo, Salvatore è stato preso in carico dai medici. Ma in realtà Salvatore non è in sala operatoria: medici e infermieri sono occupati in un altro caso di maggior urgenza. Nessuno apre un’altra sala per intervenire. Nessuno si occupa di lui. Salvatore resta in attesa e le sue condizioni iniziano a peggiorare.
Ma per fortuna ad assisterlo ci sono i suoi angeli: la moglie e i figli decidono di chiamare un neurochirurgo privato che si rende disponibile a un intervento d’urgenza. Così Salvatore viene trasferito e operato in una clinica privata. Questa volta l’intervento viene eseguito: Salvatore è fuori pericolo.
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