Nuove aggressioni in pronto soccorso: necessario un presidio di sicurezza interno alle strutture

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Sono sempre più ricorrenti gli episodi di aggressioni ai medici, l’ultimo in ordine di tempo, quello di una specializzanda di 28 anni che ha rischiato di essere strangolata. Cosa fare? Stipulare dei protocolli con la polizia per interventi urgenti. 

 

In questi giorni abbiamo assistito a una nuova esplosione dei casi di violenza contro i professionisti sanitari. Ogni episodio di aggressione costituisce un vero e proprio attacco al Servizio sanitario nazionale. Le aggressioni mettono a repentaglio la sicurezza dei professionisti e quella dei cittadini e violano il diritto alla salute, imponendo oggi più che mai un necessario cambio di passo culturale. Un cambio di passo che, come dimostra quanto accaduto a Udine, è tutt’altro che iniziato.

 

Tentato strangolamento

In ordine di tempo, l’ultima a subire un’aggressione è stata Adelaide Andriani di 28 anni, specializzanda in chirurgia generale, quando era di turno come guardia medica all’ospedale Gervasutta di Udine.

 

Ma cosa è accaduto?

Due uomini si sono presentati presso l’ambulatorio dove si trovava la dottoressa senza citofonare. Il più giovane aveva un problema alla gamba. Erano stati alla Croce rossa: la medicazione infatti era perfettamente pulita e fatta poco prima, ma l’uomo pretendeva di essere medicato nuovamente. La dottoressa ha eseguito di nuovo la medicazione alla gamba convenendo fosse necessario un ulteriore controllo in pronto soccorso dopo qualche giorno. 

Da quel momento, è stata investita dalla furia insensata da parte dell’accompagnatore del ragazzo, che le ha messo le mani al collo per strangolarla. Provvidenziale, l’intervento della sua collega.

“Non è possibile che un medico nell’esercizio delle proprie funzioni venga aggredito per aver invitato un paziente, dopo avergli prestato le cure ritenute opportune, a recarsi in pronto soccorso nel suo interesse” racconta la dottoressa “non è ammissibile rischiare la propria vita sul posto di lavoro perché non si è abbastanza tutelati. Sto seriamente pensando di lasciare la professione. Non si può rischiare per lavoro. Se non ci fosse stata con me la collega che è riuscita a staccare la mano di quell’uomo, forse sarei morta.” La Andriani, insieme alla sua collega, ha voluto denunciare la spirale di violenza, di cui spesso sono vittime silenziose, proprio le dottoresse specialmente nei pronto soccorso.

 

Militari in corsia?

Per avere più sicurezza negli ospedali, c’è chi invoca la presenza dei militari in corsia. “Potrà apparire una misura esagerata – dice il presidente del sindacato dei medici Federazione Cimo-Fesmed Guido Quici -, ma ci troviamo di fronte a un’emergenza e dunque serve un’operazione Ospedali sicuri”. Ma non tutti sono d’accordo nel militarizzare i luoghi di cura. Chi infatti nutre perplessità, teme che questa azione possa distogliere gli uomini dell’esercito da altri incarichi. Senza contare che sono azioni svolte in genere dalle forze di polizia.

 

E la telesorveglianza?

C’è invece chi propone, come il vice presidente del Friuli Riccardo Riccardi, il potenziamento della telesorveglianza e della vigilanza armata, mentre il sindacato dei medici dirigenti Anaao-Assomed Fvg risolleva la questione della posizione contrattuale dei medici specializzandi che prestano il loro servizio presso gli ospedali come studenti, con borse di studio erogate dalle Università, e con tutele molto differenti dai medici dipendenti ospedalieri, invocando un contratto di lavoro che strutturi e ben definisca ruoli e competenze. 

 

Fondamentale decongestionare i Pronto soccorso 

Prima di tutto però, appare necessario “decongestionare” i pronto soccorso. È fondamentale – precisa il ministro Schillaci – che i malati arrivino al pronto soccorso soltanto quando ne hanno veramente bisogno. La strada è una sola: la medicina territoriale. Fino a oggi è stata l’anello debole del nostro sistema sanitario, ma ora è indispensabile rafforzarla, potenziarla, riqualificarla. Devono esserci altri luoghi in cui chi sta male riceve le prime cure.

 

Servono protocolli con la polizia

E quindi cosa fare? Occorre un vero e proprio patto con le prefetture per arrivare in tempi brevi a protocolli operativi che consentano alle forze di polizia di intervenire rapidamente negli ospedali in caso di aggressioni nei confronti dei medici. Questi protocolli dovranno porre al centro la sicurezza di medici, infermieri e operatori sanitari e consentire interventi rapidi negli ospedali e nei luoghi di cura in caso di violenza.

Inoltre sarà avviata un’iniziativa per rafforzare o istituire presidi di polizia a partire dai plessi ospedalieri di maggiore importanza. Si partirà dalla Capitale fino ad arrivare alle altre grandi città.

Categorie:News Medicina
Tags:aggressioni ai medici

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