
Riconosciuto dalla Cassazione il diritto al risarcimento di un paziente che ha contratto l’epatite B a seguito di una trasfusione. La responsabilità è della struttura sanitaria: nella cartella clinica manca infatti l’indicazione della tracciabilità delle sacche di sangue trasfuso.
Danno da sangue infetto: ma è ancora possibile? Oggi il nostro sistema è abbastanza sicuro, basti pensare ad esempio, che il rischio di contrarre un’infezione da HIV si è quasi azzerato (da un recente studio le probabilità di infettarsi sarebbero comprese tra una su due milioni e una su 45 milioni), questo però non vuol dire che non manchino casi di contagio ai danni dei pazienti, ma sono soprattutto vicende del passato che si strascinano dolorosamente anche per decenni.
Proprio come quella che si è trovata a giudicare la Corte di Cassazione che ha sancito il legittimo diritto di un uomo ad essere adeguatamente risarcito per le gravi conseguenze (l’insorgenza dell’epatite B) riportate a seguito di una trasfusione, ribadendo che è l’ospedale, e non il paziente, a dover provare che il sangue fornito sia “sano”. Ma veniamo ai fatti.
Il caso
Nel lontano 1982, presso una Usl della Campania, il paziente aveva contratto il virus dell’epatite B (virus HBV) in seguito ad una trasfusione di sangue infetto. La Corte aveva però accolto l’appello del Ministero della Salute rigettando la sua richiesta, volta a far valere la responsabilità dell’Azienda sanitaria e dei singoli sanitari, e confermando la mancanza di prove rispetto alle inadempienze o negligenze del personale medico. Quindi, per dirla in modo semplice, secondo i giudici l’uomo non aveva fornito la prova che il sangue trasfuso fosse infetto.
A chi spetta l’onere della prova?
La Corte infatti aveva ritenuto che il mancato o insufficiente controllo del sangue avrebbe potuto condannare l’azienda ospedaliera qualora però il danneggiato avesse allegato l’avvenuta utilizzazione di sacche di sangue estranee ai circuiti autorizzati dal Ministero.
Il paziente danneggiato invece si era limitato ad ipotizzare la provenienza del sangue da sacche ignote perché nella cartella clinica risultava mancare il referto di accompagnamento del Centro Emotrasfusionale, ovvero la tracciabilità, che però secondo i giudici non poteva equivalere ad una prova.
Inoltre, all’epoca dei fatti, l’uso di sangue infetto non era imputabile alla struttura ospedaliera in quanto il materiale proveniva da centri autorizzati.
Il ricorso in Cassazione
Il paziente ha presentato ricorso in Cassazione lamentando che il Giudice di merito avesse invertito l’onere della prova, ponendo a suo carico, oltre a quella del fatto e del nesso causale, anche la prova della colpevolezza della struttura quando, in base ai principi della responsabilità contrattuale, il debitore è tenuto al risarcimento del danno a meno che non provi che l’inadempimento o il ritardo sia stato determinato da una causa a lui non imputabile.
Cioè per dirla meglio, le prove di negligenza/inadempienza in materia di sangue infetto, devono essere ripartite tra danneggiato e struttura ospedaliera nel modo seguente: il primo deve provare che l’esecuzione della prestazione si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di danno, mentre grava sulla seconda la prova di aver agito con diligenza, ad esempio dimostrando che le sacche di sangue utilizzate provenissero dai centri preposti alla fornitura.
Quindi, dimostrata da parte del danneggiato la relazione causale tra condotta medica e lesione (che nel caso di un ricovero ospedaliero risulta semplice), l’onere della prova della causa non imputabile (in quanto si è agito correttamente) grava sulla struttura sanitaria.
Conclusioni
Ma come si è conclusa questa vicenda? Per la Cassazione “L‘impossibilità di tracciare una sacca di sangue trasfusa comporta un’irregolarità nella tenuta della cartella clinica a cui può ricollegarsi l’affermazione di responsabilità”.
Difatti la cartella clinica è un atto pubblico che adempie alla funzione di diario del decorso della malattia e di altri eventi clinici che devono essere annotati contestualmente al loro verificarsi ed in maniera precisa e puntuale, altrimenti il personale medico e la struttura sanitaria sono imputabili per negligenza desumibile dalla sua irregolare tenuta. Nel caso di trasfusioni di sangue risulta fondamentale la tracciabilità della sacca di sangue trasfusa.
Quindi il paziente dovrà essere adeguatamente risarcito per il danno derivante dalla trasfusione infetta.