Assistenza sul territorio: cosa faremo con il Recovery Fund

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Il Recovery Fund deve aiutarci a cambiare il volto della nostra Sanità e quello del nostro futuro. Ecco il piano, punto per punto, ed ecco perché i medici di famiglia dovrebbero diventare dipendenti.

 

Inutile ribadire in queste sede quanti danni abbia fatto il Covid-19.
Tra i tanti, c’è anche quello di aver portato a galla una grande falla del nostro sistema sanitario: l’assistenza medica sul territorio. In piena emergenza, infatti, un contagiato su tre è andato al Pronto Soccorso anche quando poteva essere curato a domicilio, e ha “sottratto” posti letto ai pazienti gravi.

Ovviamente non vogliamo dare colpe a chi, impaurito e lasciato da solo, sia stato in qualche modo costretto a recarsi in ospedale. Ma le strutture sanitarie, travolte dall’emergenza e dall’affluenza, non hanno retto il colpo.

L’assistenza sul territorio
Lo smantellamento dell’assistenza sul territorio da anni costringe ad andare al Pronto Soccorso per qualunque cosa, aumenta i ricoveri impropri soprattutto per diabete, malattie polmonari e ipertensione, mentre chi soffre di malattie croniche si aggrava.
Su 21 milioni di accessi al pronto soccorso ogni anno, 16 milioni sono codici bianchi e verdi, e l’87% di questi non sfocia in un ricovero. Questi numeri si traducono in una spesa annua di 700 milioni di euro, che i medici di famiglia e le strutture intermedie potrebbero evitare.

Recovery Fund
Il Recovery Fund mette a disposizione 7 miliardi di euro da spendere in 5 anni per cambiare il modello della nostra Sanità. Ed ecco il nostro piano.

Punto 1: le Case della Comunità
In un’unica struttura di quartiere saranno riuniti medici di famiglia, specialisti, infermieri e assistenti sociali. La struttura, attrezzata di punto prelievi e macchinari diagnostici, dovrà offrire assistenza dalle 8 alle 20.

Punto 2: gli Ospedali di Comunità
In ospedale bisogna andarci solo per una malattia grave o un intervento chirurgico. Per ricoveri brevi, ci si rivolgerà all’Ospedale di Comunità: una struttura a gestione prevalentemente infermieristica, da 20 posti letto fino ad un massimo di 40. È necessario che ce ne sia uno ogni 50.000 abitanti.

Punto 3: le cure domiciliari
Il numero dei pazienti seguiti a casa va portato dai 701.844 di oggi, a oltre 1,5 milioni, in modo da garantire l’assistenza ad almeno il 10% della popolazione over 65 più bisognosa.
Oggi è seguito il 5,1%.

Punto 4: le Centrali operative territoriali (Cot)
La loro funzione è di coordinamento e collegamento dei vari servizi sanitari territoriali, sostenendo lo scambio di informazioni tra gli operatori sanitari e facendo da punto di riferimento per i familiari caregiver.

Punto 5: i medici di famiglia
Ultimo ma non ultimo, la condizione contrattuale dei medici di famiglia. Oggi sono liberi professionisti convenzionati ma, per avere accesso ai fondi, adesso l’Europa ci chiede di rivedere le loro regole d’ingaggio, perché l’intero progetto rischia di fallire senza il coinvolgimento del medico di famiglia che porta il suo ambulatorio all’interno delle Case della Comunità.

Il nodo più spinoso per il ministro della Salute Roberto Speranza sarà dunque quello di decidere se farli diventare dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale o trasformarli in un ibrido (il medico resta un libero professionista convenzionato, ma viene arruolato da cooperative).
Ciò significa che il Ministro dovrà essere capace di resistere alle pressioni di quei medici che desiderano gestire il loro ambulatorio in totale autonomia come oggi, o piuttosto ingaggiare giovani medici più disponibili a coprire le necessità dei territori.

Conclusioni
Già nel 2006, si era tentato di realizzare le Casa della Salute. Ma, salvo poche eccezioni, il progetto si è arenato sia per l’indisponibilità dei medici di famiglia sia per le diverse politiche regionali.
La differenza con allora è che stavolta sarà il governo a imporre alle Regioni la tabella di marcia, gli obiettivi da raggiungere e il controllo sui risultati, proprio perché i soldi arrivano dal Recovery.

Categorie:News Medicina
Tags:recovery fund

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