Carenza dei medici: l’improvvisazione non aiuta

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Sulla grave carenza dei medici, le Istituzioni non si pronunciano, così il Veneto si organizza: lavoreranno i medici non specializzati.

È vero, non ci sono risposte convincenti da parte delle Istituzioni nazionali, quindi per fronteggiare la grave carenza di personale medico ogni Regione si organizza come può. Ma c’è chi sceglie soluzioni “discutibili”.

È il caso del Veneto che per porre rimedio alla carenza di 500 medici specialisti nei dipartimenti di emergenza e urgenza e nei reparti di internistica e geriatria, offre un percorso formativo dedicato a laureati non specializzati consistente in 92 ore di lezione teorica e due mesi di frequenza pratica propedeutici al conseguimento di una “certificazione di competenza” nell’area internistica.

Ma cerchiamo di capire meglio. Innanzitutto, il diploma di specializzazione è sempre richiesto per le specialità di anestesia, rianimazione e terapia intensiva e del dolore, medicina nucleare, radiodiagnostica, radioterapia e neuroradiologia. Quindi, in questo caso, mancherebbe un prerequisito molto importante. Ma non è soltanto una questione “di carte mancanti”: per affrontare casi complessi, in urgenza e non, è necessaria un’esperienza ben strutturata che forse non può ridursi a 92 ore di lezione e due mesi di tirocinio. 

 

Associazioni di medici in rivolta

Le Società Italiane di Medicina Interna (Simi), di Medicina d’Emergenza-Urgenza (Simeu), di Geriatria e Gerontologia (Sigg), hanno unito le loro voci proprio per lanciare un segnale di allerta verso la delibera della giunta regionale del Veneto.

In questo modo, per le tre società scientifiche, si esporrebbero medici non specialisti al rischio di errore e al conseguente contenzioso, e i malati a ovvi rischi per la loro salute. 

Le tariffe assicurative lieviterebbero a dismisura e si verrebbe a creare una condizione di precarietà a tutto vantaggio delle finanze regionali. Non solo, a ciò si dovrebbe aggiungere anche il miraggio del “pronto impiego” che potrebbe distogliere i neolaureati dall’intraprendere il percorso di formazione specialistica, determinando un impoverimento del patrimonio umano e professionale del Servizio sanitario nazionale. 

Quindi, in buona sostanza, la scelta del Veneto di assumere medici senza specializzazione, appare un rimedio che rischia di essere peggio del male.

 

Ma è legale?

Se da una parte il presidente della Regione Veneto asserisce che occorre garantire i livelli essenziali di assistenza, che sono un obbligo costituzionale, dall’altro in molti giudicano la soluzione come illegale e in palese contrasto con la legislazione di riferimento europeo.

 

Zaia è convinto: “Lo facciamo a modo nostro, cioè garantendo la qualità dei professionisti e la sicurezza dei pazienti con un percorso formativo sia teorico che pratico, al termine del quale, grazie anche al tutoraggio dei colleghi più esperti, avremo medici sì giovani, ma già ben formati e sicuramente bravi”. 

Ma in questo modo si verrebbe a creare una situazione piuttosto anomala, nella quale coesistono specialisti e “pseudo specialisti”, dove si moltiplicherebbero gli errori medici e le conseguenze umane ed economiche dei medesimi, si arrecherebbe globalmente un danno economico al SSN oltre a screditarne notevolmente l’immagine. Ma, c’è di più, si violerebbe la Costituzione che tutela il diritto alla salute come universale: sarebbe invece preservato in modo casuale in rapporto a chi dispenserà l’assistenza medica.

 

Cosa si può fare?

Carichi di lavoro ossessivi, turni improponibili e massacranti, burocrazia mastodontica, carenza cronica di personale, costituiscono più di un motivo per comprendere la disaffezione dei medici italiani al SS pubblico. I medici se ne vanno utilizzando sia pensionamenti anticipati, sia aspettative di mesi, mentre i concorsi per le nuove assunzioni sono deserti. E quindi?

Il MIUR e il Ministero della Salute dovrebbero continuare e completare l’adeguamento del numero di borse di specializzazione alle reali esigenze degli ospedali; le Scuole di Specializzazione dovrebbero favorire progetti formativi per gli specializzandi, coinvolgendo gli ospedali non universitari e promuovendo forme di inserimento lavorativo per quelli all’ultimo anno di corso.

E in ultimo, occorrerebbe una maggior attenzione e rivalutazione della Professione Medica e delle professioni Sanitarie, rivalutazione sia culturale sia economica, per il giusto valore che deve essere dato a chi si dedica con impegno alla cura del prossimo.

Categorie:Storie di Malasanità
Tags:carenza medicimalasanità

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