Covid-19: il medico che applica le linee guida è esente da colpa

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La pandemia da coronavirus continua ad alimentare il dibattito sulla responsabilità di medici e degli operatori sanitari, in uno scenario che non ha precedenti nella nostra storia recente. Percorriamo insieme un “viaggio” nella nostra legislazione.

Negli ultimi drammatici mesi, gli operatori sanitari si sono trovati a dover affrontare professionalmente un nemico sconosciuto, con poche informazioni e soprattutto con pochi strumenti a disposizione. Una battaglia impari che ha messo accanto nuove paure, quella del contagio, della mortalità, dell’assenza di protocolli di cura validi, dell’infezione nosocomiale, alle paure di sempre sul fronte della responsabilità medica e delle sue conseguenti implicazioni. 

Abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo la prima crisi sanitaria globale dell’era contemporanea, in un mondo più “aperto” dove le distanze sono molto più brevi: una differenza sostanziale rispetto all’unico termine di paragone che abbiamo, e cioè l’influenza spagnola, che portò la sua drammaticità e il suo carico di morte con tempi molto più lenti e diluiti.

In un contesto di questa straordinarietà, parlare di responsabilità medica diventa complicato ma, al contempo, estremamente importante. E non può sorprendere che, da un lato, in molti abbiano pensato che l’unica soluzione possibile, di fronte a una situazione eccezionale, fosse una sorta di scudo anch’esso eccezionale, modificando la regola comune secondo cui tutti, in modi e forme anche diversi, sono tenuti a rispondere di ciò che fanno; dall’altro, c’è chi manterrebbe la responsabilità colposa ma circoscrivendola ai casi di colpa macroscopica. 

La strada, se così possiamo dire, va attualmente ricercata nel nostro ordinamento.

 

Medicina difensiva e riforma

Il tema della responsabilità penale degli operatori sanitari, che riemerge in questo contesto emergenziale in tutta la sua complessità e delicatezza, è stato oggetto negli ultimi anni di molte modifiche. Queste revisioni derivano dall’esigenza di ridurre l’esposizione del medico al rischio penale, a propria volta alla base di quella pratica sanitaria nota come medicina difensiva: il timore di denunce, infatti, può indurre ad assecondare le pressioni dei familiari e l’aspettativa del malato stesso, attraverso l’impiego di pratiche diagnostiche superflue, o, in negativo, la rinuncia a eseguire interventi o a seguire pazienti ritenuti troppo problematici.
Se contestualizzata nello scenario attuale, non consentire al medico una limitazione di responsabilità alla luce delle circostanze in cui si è trovato a intervenire, potrebbe condurlo a un atteggiamento autodifensivo, rappresentato dal rifiuto di operare in condizioni non ottimali o di trascorrere più tempo a documentare le circostanze di fatto anziché a curare i pazienti.

 

La disciplina della responsabilità 

Ripercorrendo il nostro ordinamento in tema di responsabilità medica, la cosiddetta legge Gelli Bianco, ha introdotto una fattispecie di reato, che sotto la rubrica “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario” estende anche ai fatti che si sono verificati nell’esercizio della professione medica, le pene previste per lesioni e omicidio colposo, precisando tuttavia che “qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida (sempre che risultino adeguate al caso), o in mancanza di queste, le buone pratiche clinicoassistenziali”.

 

I chiarimenti della Cassazione 

In merito, la Cassazione ha chiarito che, ferma la responsabilità per le ipotesi di negligenza e imprudenza, si prevede un’esclusione della punibilità per gli operatori sanitari in presenza delle seguenti condizioni: da un lato, la morte o la lesione si siano verificati a causa di imperizia, da intendersi come l’inosservanza delle linee guida, per ignoranza della loro esistenza, inattitudine ad applicarle o semplice inapplicabilità concreta; dall’altro, siano state rispettate le linee guida purché adeguate al caso.

 

Le linee guida e stato di necessità 

Oggi le operazioni per la gestione dell’emergenza sanitaria relativa al Covid-19 sono regolate dalle linee guida pubblicate dall’Istituto superiore della sanità (Iss). Sarà quindi a quelle disposizioni che il medico dovrà rifarsi per la cura del paziente affetto da coronavirus, così chi provvederà alla loro applicazione, dovrebbe essere esente da colpa. Tuttavia, anche in questo caso, la condotta medica risentirà di alcune carenze quali per esempio, i posti letto o le cure per tutti i pazienti, permane quindi il rischio di ricevere denunce da coloro che le subiranno.

In questo contesto, la legge individua lo stato di necessità il quale prevede che: “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.

 

Per concludere

Abbiamo parlato a lungo di responsabilità, ed è questo, più che mai, il tempo della responsabilità di tutti e di ciascuno. Una responsabilità intesa come missione e non come rimedio.
Dobbiamo trarre insegnamento da ciò che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, augurandoci di raggiungere in futuro una rinnovata consapevolezza e che da questa fragilità nasca una coesione, che sarà bello chiamare la “nuova” alleanza terapeutica.

Categorie:Responsabilità Medici
Tags:coronavirusresponsabilità dei medici

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